mercoledì 23 marzo 2016

Commenti a margine della conferenza sull' "Ombra" - tenuta dal Prof. Alessandro Croce (sintesi di Daria Bosio)



L'argomento trattato dal Prof. Croce ha suscitato grande interesse e i concetti chiave sono emersi chiaramente dalla relazione. Il presupposto fondamentale è che ognuno di noi ha un'Ombra, che resiste alla coscienza ma di cui avvertiamo la presenza, costituita da funzioni non sviluppate, da elementi infantili, da aspetti irrazionali, moralmente discutibili.
Se non riconosciamo queste pulsioni come parte di noi, esse si fondono in una “personalità” dotata talvolta di altissima autonomia. I sogni, i miti e le fiabe ben rappresentano questa fusione di elementi negativi e la loro “personificazione”, l'inconfondibile sentimento dell'”altro” in noi. Ed è sull'altro che proiettiamo la nostra Ombra: cogliamo nell'altro comportamenti che ci infastidiscono, ma che in realtà sono aspetti non consciamente vissuti della nostra psiche. E' sufficiente cogliere una minima deviazione dallo standard medio per individuare il capro espiatorio ideale per proiettare le nostre pulsioni. E' quindi importante imparare ad ascoltare ciò che la nostra psiche cerca di indicarci. Secondo Jung infatti se non ci poniamo in relazione con l'Ombra, essa agirà in maniera autonoma provocando delle psicosi. A livello collettivo l'”altro” diventa il perturbatore, colui che divide. La comunità si costituisce sull'esclusione: l'espunzione di un elemento corrisponde all'identificazione del sé e alla creazione di un gruppo, numerosi gli esempi di utilizzo di questo meccanismo al fine di detenere il controllo sociale. Avviene una sorta di tecnicizzazione del mito affinchè le persone abbraccino l'ideologia dominante, cosa non difficile di fronte a personalità deboli, che temono la differenza, che riducono la propria coscienza e la propria ricchezza esperienziale. Una visione del mondo totalmente improntata ai valori della coscienza provoca un ingigantimento dell'Io. Oggi l'esistente è riconosciuto per tale se è quantificabile, addirittura si arriva a sostituire la realtà “certificando” l'assenza della presenza delle cose. Occorre non dimenticare però che ciò che non è “certificabile” non scompare ma continua ad esistere, o meglio a resistere. Chiarificatrice la metafora epistemologica portata dal Prof. Croce: la coscienza è come un fascio di luce, nitido ma sempre più ristretto, che illumina una zona microscopica alla ricerca di costituenti minimi essenziali. Questa tendenza a ridurre sempre più la zona illuminata rischia di farci perdere di vista il disegno ampio che rimane in ombra, esplorando il quale potremmo avere una visione globale sulle connessioni che regolano il mondo. Dilaganti in ogni campo sono la smania di ricerca dei particolari e la tendenza alla codificazione. Controllo analogo viene effettuato sui corpi, senza consapevolezza del fatto che inevitabilmente il “controllore” diventa il “controllato”. Qualsiasi cosa sfugga al controllo viene vista come fonte di pericolo ma, ovviamente, l'irriducibilità dei fenomeni del mondo è indiscutibile. Per superare tali meccanismi occorre ripensare la propria identità, identificare il mondo come “non altro” rispetto a me: il soggetto viene identificato perchè incapsulato in un corpo, mentre in un contesto di unità evolutiva esso deve essere considerato in relazione con tutto il sistema, che per sua natura, come afferma Bateson, funziona come una mente, è un sistema fluido di scambio costante. Se l'”altro” sono io, ecco che scompaiono le dinamiche in ombra. La coscienza sistemica è qualcosa che possiamo sperimentare quotidianamente nelle azioni più semplici, la differenziazione dei rifiuti ne è un esempio. Quando l'essere umano non mette in contatto la propria coscienza e la propria Ombra, esso si sente orfano della propria identità e si convince di poterla trovare accumulando beni: possiedo quindi esisto. E' invece importante giungere a riconoscere il ruolo della coscienza come parte attiva nella costruzione della realtà: siamo noi a produrre il mondo che abbiamo di fronte.

martedì 22 marzo 2016

Conferenza su: “La luce: viaggio ai confini della scienza” del Dott. P. Bianucci - Sintesi di M.A. Fonnesu



Un buon numero di persone ha partecipato alla Conferenza tenuta dal dott. Piero Bianucci avente per tema la luce ed i confini della scienza.
La competenza, la semplicità e l'umiltà del Relatore sono subito apparsi evidenti.
Non si é trattato di spiegare al colto pubblico l'ultima teoria nel mondo dei fotoni e delle onde elettromagnetiche, ma di accompagnarci a rivisitare concetti, apparentemente noti, ma ai quali mancavano alcuni dettagli e chiarimenti che Piero  Bianucci ha saputo porgerci attingendo agli studi degli ultimi premi Nobel, assegnati in vari campi. La luce infatti, come ha ricordato Bianucci, attraversa tutti i saperi, dalla chimica alla fisica e alla fisiologia animale e vegetale.
La nostra percezione visiva é dovuta al contrasto fra luce ed ombra ed é il messaggio che le attraversa.
I confini del campo del nostro visibile sono interni allo spettro della luce, ma ne occupano solo una parte, ed é come se noi vedessimo attraverso il buco della serratura; il campo del visibile é una feritoia attraverso cui vediamo, ma il Relatore ha posto l'accento sul fatto che, pur avendo tali limiti, ormai siamo in grado di misurare tutto lo spettro del visibile e di utilizzare la luce in svariati campi come l'infrarosso nelle fibre ottiche, oppure le onde radio su banda a microonde dello spettro elettromagnetico nei GPS.
La vita é aria intessuta con la luce, sosteneva Moleschott. Tale pensiero peraltro é comprensibile solo se ci si sofferma sulla conoscenza in dettaglio della fotosintesi clorofilliana, nella quale sei molecole di anidride carbonica (prese dall'aria) e sei molecole di acqua si combinano, grazie a 48 fotoni da 1,86 eV di luce solare, per formare una molecola organica di zucchero glucosio, liberando sei molecole di ossigeno. Tutto apparentemente banale, ma di complessità stratosferica e non ancora completamente chiarito, nei passaggi energetici di miliardesimi di miliardesimi di secondo, come un problema di quantistica.
Ci vuole, a detta di Bianucci, un'attitudine più ampia che dia significato alla conoscenza, non si deve quindi guardare il mondo senza dargli significato, anche in modo poetico, e la tecnologia e la scienza devono stare dentro ad alcuni confini della società, ma a suo parere non ci devono essere confini per la libertà di studio e di ricerca. Si deve cercare sempre e poi decidere cosa fare di quanto si é trovato.
La domanda che ci si é posti a lungo é: "la terra é un pianeta azzurro o un pianeta verde?"
Non é azzurro, anche se dallo spazio così appare agli astronauti, ma verde perché sulla terra abbiamo 3000 miliardi di alberi  ovvero 405 alberi per abitante, quindi é il pianeta dei vegetali che ci danno16000 tonnellate al sec di vita. Gli animali, e l'uomo fra di essi, sono ben poca parte della totalità dei viventi, infatti la biomassa é per il 97 per cento vegetale, ma la responsabilità dell'uomo é soprattutto legata alla necessità di non alterare gli equilibri complessi (vedasi il problema della sovrabbondanza di anidride carbonica) del sistema chiuso Terra.
L'interessante conferenza si é conclusa con l'analisi dei cicli circadiani (cicli vitali collegati all' alternarsi del dí e della notte) nei vegetali e nell'uomo. Si é considerato infine l'impiego dei led a luce azzurra nella quotidianità delle persone e la possibilità che essi siano causa di disturbi nell'alternarsi del sonno e della veglia, conseguenti alla luce che emettono uguale a quella del cielo azzurro, che invita, se impiegati in locali dediti al sonno, al risveglio delle attività vitali giornaliere.

Abbiamo quindi a disposizione una infinità di scoperte e di tecnologie in grado di migliorare la nostra esistenza se siamo in grado di valutare per ognuna gli aspetti positivi e negativi e di lavorare costantemente per il predominio dei primi sui secondi, convinti che valga sempre la pena di impegnarsi a tale proposito.

venerdì 4 marzo 2016

Riflessioni filosofiche sulla scienza offerta dal caso delle onde gravitazionali - a cura di M.A. Fonnesu


Riflessioni filosofiche sulla scienza
 offerte dal caso delle onde gravitazionali
 
 L'annuncio da parte di LIGO_VIRGO in data 11 febbraio della “scoperta” fisica delle onde gravitazionali ha avuto una eccezionale coincidenza, ovvero le celebrazioni del 2015, appena concluse, per i cento anni della relatività generale di Albert EINSTEIN. L'osservazione del fenomeno, previsto nella trattazione matematica di Einstein, ma rimasto senza conferma sperimentale, ha notevoli ricadute sulla scienza. Tali ricadute non saranno necessariamente solo fisiche e tecnologiche, ma anche di politica e organizzazione della ricerca scientifica, nonché di filosofia della scienza, secondo il parere espresso da Elena Castellani, professore al Dipartimento di filosofia dell'Università di Firenze, in un articolo pubblicato dalla rivista “Scienze”. Secondo l'Autrice dell'articolo ci si può soffermare su alcuni dei molteplici aspetti di interesse filosofico messi in gioco dal caso delle onde gravitazionali. Un aspetto, già evidenziato da Einstein, riguarda la natura delle teorie scientifiche e in particolare la teoria della relatività generale, valutata come “Teoria di principio”, ovvero una costruzione teorica dove a partire da principi, cioè proprietà generali dei fenomeni determinate su base empirica, si deducono formule matematiche che possono essere applicate a tutti i casi particolari; sono appunto un esempio di “caso particolare” le onde gravitazionali la cui rilevazione costituisce un importante tassello del supporto empirico a conferma della teoria. Nel caso dell'osservazione delle onde gravitazionali si è avuto il successo del “Metodo Scientifico” tradizionale, con il controllo dell'esperienza su di una elaborazione teorica, matematicamente sofisticata, finalizzata allo studio descrittivo del mondo naturale. Il problema è posto dalle posizioni empiriste, un po' radicali ancora sostenute oggigiorno, per le quali la costruzione teorica deve sempre andare di pari passo con la conferma sperimentale, ma quanto si è disposti ad aspettare tale conferma sperimentale? In questo caso ci sono voluti cento anni, pur fra grandi dubbi dello stesso Einstein e di altri scienziati dediti al progetto, per il superamento di difficoltà tecnologiche e di elaborazione di previsioni teoriche da sottoporre al controllo empirico. Potrebbero legittimamente essere considerati altri tipi di conferme, senza svalutare la teoria, in attesa delle dirette prove sperimentali? • Un altro aspetto riguarda “Il ruolo delle analogie” nello sviluppo delle teorie scientifiche. Lo stesso Einstein mutò spesso posizione rispetto all'esistenza delle onde gravitazionali, influenzato dal tipo di analogie considerate di volta in volta nell'elaborazione della sua teoria. Le analogie considerate e motivanti tale fenomeno furono: “la teoria maxwelliana del campo elettromagnetico” da un lato e dall'altro “la teoria newtoniana della gravitazione”. La prima analogia suggeriva l'esistenza delle onde gravitazionali per i moti dei corpi celesti in similitudine con le onde elettromagnetiche nei moti delle cariche elettriche, ma la seconda analogia mentre forniva soluzioni alle equazioni della relatività generale, sembrava negare l'esistenza di onde gravitazionali rilevabili. L'analogia è quindi uno strumento euristico utile, ma delicato e quindi da utilizzare con le dovute cautele e spesso solo in modo parziale.

martedì 1 marzo 2016

"L'infelicità araba" libro di Samir Kassir - presentazione/sintesi a cura di E. Gallo


“L’infelicità araba”

di Samir Kassir

ed. Einaudi

Presentazione

l’autore:

Samir Kassir, nato a Beirut nel 1960 da padre palestinese e madre siriana, è stato uno degli uomini di punta della vita intellettuale e politica libanese, impegnandosi come storico e come giornalista militante ad indagare l’identità nazionale del proprio paese e a lottare per la democratizzazione delle sue istituzioni. Ha sostenuto con passione la causa palestinese e nel 2005 è stato fra gli ispiratori della cosiddetta “primavera di Beirut”, il movimento di massa che ha condotto alla liberazione del Libano dalle truppe di occupazione siriane. Un impegno, questo, che ha pagato con la vita: è stato infatti assassinato nel giugno dello stesso anno in un attentato terroristico i cui mandanti non sono mai stati individuati con certezza, anche se aveva ricevuto in passato minacce da parte di agenti dei servizi segreti e degli apparati di sicurezza libanesi e siriani, per cui in Libano molti pensano che sia da addebitare ad essi la responsabilità dell’assassinio.

il testo:

Il libro che presentiamo, scritto un anno prima della tragica fine del suo autore, ha finito così per assumere il valore di un testamento spirituale, consegnandoci l’immagine di un intellettuale di formazione occidentale (aveva conseguito a Parigi la laurea e il dottorato di ricerca in storia contemporanea) ma non alienato, come dice lui stesso nella prefazione, ad una cultura straniera, capace nondimeno di farne propri alcuni elementi e di gettare così un possibile ponte fra culture diverse, in forte dissenso con l’idea di un inevitabile “scontro di civiltà”. Questa posizione non gli impedisce certo di denunciare in modo molto netto le pesanti responsabilità dell’Occidente, passate e presenti, nel  determinare  il senso di  impotenza e di  frustrazione  che  concorre a quella che definisce “l’infelicità araba”, ma neanche di indicare le responsabilità altrettanto grandi di un mondo arabo che si è autoimprigionato in una cultura del vittimismo foriera di conseguenze funeste.

Una cultura che fa leva intanto su di una lettura della propria storia ipnotizzata dall’idea di un passato mitico e glorioso – di cui peraltro non si colgono a sufficienza gli aspetti universalistici e sincretici - e di una successiva inarrestabile decadenza, incapace pertanto di vedere come il confronto con la modernità non sia mai stato del tutto assente e come  ci siano stati momenti importanti in cui le idee di libertà e progresso di stampo illuministico e laico hanno avuto forte presa nel mondo arabo, testimoniando come non ci sia  con esse alcuna  incompatibilità  culturale o peggio ancora genetica, come molti amano pensare. Incontri che devono essere necessariamente ripresi e portati a compimento se si vuole dare vita ad una nuova rinascita araba, facendo retrocedere le derive islamiste che rappresentano  un  autentico e mortifero regresso  e che sono di fatto destinate a rendere la crisi irreversibile mentre promettono di risolverla, ma che vanno addebitate anche ad una colpevole latitanza della politica e ad un distacco dei movimenti nazionalisti da quell’universalismo che aveva in precedenza alimentato la loro azione, e che avrebbe potuto ostacolare con più forza questa deriva. Un libro manifesto dunque, in cui la passione dello storico e dell’intellettuale politicamente impegnato si accompagna ad una scrittura agile e del tutto priva di retorica, con argomentazioni che possono di volta in volta essere motivo di discussione ma il cui messaggio complessivo non può che essere condiviso. Un libro sugli arabi scritto per gli arabi, ma non solo, che rappresenta un messaggio di speranza nella possibilità di invertire un destino prendendo nelle proprie mani l’impegno di modificarlo, pur nella consapevolezza delle difficoltà che questo comporta, evidenziate drammaticamente dalla tragica fine del suo autore. 

 
Sintesi del testo

La parola del mese - Marzo 2016


LA PAROLA DEL MESE

A turno si propone una parola, evocativa di pensieri collegabili
ed in grado di aprirsi verso nuove riflessioni
Marzo 2016
 
Weltanschauung

Termine tedesco («visione, intuizione =Anschauung + del mondo  =Welt) = Non è letteralmente traducibile in lingua italiana perché non esiste una parola che le corrisponda appieno, può essere restrittivamente tradotto con "visione del mondo", "immagine del mondo" o "concezione del mondo", ossia il modo in cui singoli individui o gruppi sociali considerano l’esistenza e i fini del mondo e la posizione dell’uomo in esso.

 La ragione del successo del termine anche in Italia è da ricercarsi nella possibilità di esprimere con una sola parola un concetto complesso. Si ritiene infatti che la frase "visione del mondo" sia troppo semplificatrice se usata in contesti complessi. Carl Gustav Jung ha fatto molto uso di questo termine per descrivere la profonda trasformazione degli individui allorché in essi cambia la Weltanschauung, e come, al contrario, senza cambiare la Weltanschauung diventi spesso impossibile ottenere una reale soluzione alla personale sofferenza psicologica, con ciò significando che spesso per l'individuo è salvifico riunirsi alla parte di sé che ha radici collettive di appartenenza, di specie, di razza e religione e al contempo prendere le distanze dall'ego ristretto e confinato al qui ed ora.